Si sta avvicinando il periodo di Natale e, come ogni anno, inizia a piovere un certo tipo di informazione che alimenta fortemente la diet-industry e diet-culture.
A cosa mi riferisco? Ditemi se queste frasi vi suonano familiari…
“Per bruciare una fetta da 100 g di panettone devi correre xx minuti, mentre invece per una fetta di pandoro devi correrne xx!”
“Un calice di spumante da brindisi ha xx calorie”
“Gli agnolotti sono più leggeri dei tortellini?”
“Dopo le abbuffate delle feste puoi rimetterti in linea con questo leggero menù: (segue dieta di 3 giorni a base di verdura e poco più)”
“La dieta detox di gennaio!”
E via dicendo.
Inutile battersi contro questo tipo di comunicazione: è strettamente legata a un marketing dietetico aggressivo, che mira a guadagnare grazie alla vendita di “prodotti dietetici”, “integratori bruciagrassi”, “programmi di dimagrimento rapido” e più ne ha più ne metta.
Eradicare questo genere di messaggi è impossibile.
È tuttavia possibile cercare di fare una comunicazione diversa, che sia svincolata da illusorie promesse di un fisico perfetto, e che non faccia leva sulle insicurezze e sul senso di colpa delle persone.
Partiamo più alla lontana: perché la maggior parte di noi teme “le abbuffate” delle feste?
Nel mese di dicembre si condensano le occasioni in cui diventa lecito mettere in tavola e condividere piatti particolarmente ricchi di grassi, zuccheri e godimento: banchetti ipercalorici, in cui ci si concede tutto ciò che fa gola, e che nel resto dell’anno si cerca di centellinare per paura di…
Per paura di cosa?
Principalmente, di ingrassare. Vero?
Purtroppo, la cultura della dieta (almeno!) dagli anni ’50 ad oggi ha veicolato un messaggio completamente distorto, legato al senso di colpa, al peccato e al concetto di ‘volontà’: se perdi il controllo con il cibo, ingrassi; se sei incapace di contenerti e dai sfogo alla tua golosità (peccato capitale), ingrassi; se vuoi, puoi dimagrire.
In sostanza, gli istinti viscerali del corpo assumono una connotazione negativa: sono ’sporchi’, famelici. Se si ascolta il corpo, si sbaglia: d’altronde, quante volte noi stessi diciamo “se mi permettessi di mangiare quello che voglio, andrei avanti solo a pizza e dolci?”.
Invece, il rigore della morigeratezza e del controllo è da ricercarsi in schemi esterni, che prescindono dalla volontà del nostro corpo: per essere magri e in salute, bisogna seguire lo schema di una dieta, sopprimendo quello che il corpo vorrebbe.
Questo tipo di comunicazione è puro marketing: nel momento in cui si colloca “il giusto mangiare” fuori dalla portata del proprio corpo, è facile far sì che le persone spendano soldi -tanti soldi- per ottenere la dieta miracolosa, o l’integratore miracoloso; non a caso esistono anche integratori che promettono di sopprimere un istinto naturale del corpo: la fame. Fame vista come negativa, molesta, peccatrice.
Ma se non fosse così? Se il nostro corpo non avesse bisogno di schemi esterni per nutrirsi in modo adeguato, e se fosse sufficiente indirizzarlo opportunamente?
Mangiare con consapevolezza non è un’azione del tutto intuitiva: quando mangiamo qualcosa di buono, continueremmo a mangiarlo proprio perché ci dà soddisfazione. Oltretutto, se siamo “a dieta da una vita” facciamo doppiamente fatica a darci un freno: il nostro cervello lavora in bianco e nero, o tutto o niente. Il cibo ‘buono’ è quello che fa ingrassare e che non dobbiamo assolutamente permetterci di assaggiare: qualora capitasse di ‘peccare’ è come se si aprisse una diga che non riusciamo più a chiudere (“da domani ricomincio la dieta, ma ora che ho iniziato tanto vale che mangi in abbondanza!”).
Dopo anni di diete, di senso di colpa interiorizzato, di istinti naturali che vengono imbrigliati da schemi esterni di porzioni, numeri e frequenze di cibo – ecco, dopo anni di tutto questo, mangiare con consapevolezza è una vera e propria rivoluzione. E d’altronde, è molto più facile leggere da qualche parte che “la giusta porzione di pandoro è xx grammi” piuttosto che iniziare a mangiare il pandoro e fermarsi quando ci si rende conto di essere appagati: il numero è confortante, dà un limite, crea un argine.
Siamo al 5 di dicembre: mancano 20 giorni a Natale, e sicuramente non è un tempo sufficiente per scardinare ogni preconcetto dietetico legato a quel periodo dell’anno.
Però si possono fare alcuni ragionamenti che aiutano a vedere sotto una prospettiva diversa il periodo delle feste: potrei dire “aiutano ad affrontare diversamente le feste”, ma dobbiamo davvero usare il termine ‘affrontare’, come se si trattasse di una belva feroce?
La prima considerazione è proprio questa:
Il modo in cui usiamo le parole ha un’importanza rilevante nel connotare le situazioni.
Cerchiamo di usare parole gentili e positive: un conto è dire che le feste ’si affrontano’, un altro è dire che ’si vivono’. Pensate alla differenza tra ‘fare uno sgarro’ e ‘gustarsi una coccola’, tra ‘le abbuffate delle feste’ e ‘i banchetti delle feste’. Questi piccoli cambiamenti permettono di esercitare in positivo la neuroplasticità del cervello, ossia la sua capacità di aprirsi a connessioni neurali differenti: il concetto è complesso ed è impossibile esaurirlo in un articolo, ma immaginate come se con le parole voi cercaste di colorare un quadro. Potete usare tinte fosche (“abbuffate”, “sgarro”, “eccesso”) e creare un clima opprimente, oppure potete usare tinte più brillanti (“coccola”, “calore”, “attesa”, “bontà”) e descrivere la scena con tutt’alta vibrazione.
Ovviamente le parole da sole non sono in grado di stravolgere l’esperienza delle feste, ma sono già un primo passo.
Un altro consiglio che posso darvi è quello di chiudere immediatamente le pagine di riviste o profili social che promuovano in qualsiasi modo la diet-culture natalizia: calorie dei dolci, suggerimenti per alleggerire i piatti, idee per menù detox… Non fanno altro che caricare il circolo vizioso, rimandare l’attenzione su quei temi. Piuttosto: aprite Pinterest e cercate idee su come decorare la tavola delle feste, acquistate candele profumate con cui creare atmosfera natalizia, sfogliate con i bambini albi illustrati riguardo al Natale. Cercate di fare leva su tutto ciò che crea l’atmosfera del periodo natalizio, svincolando le feste dal legame a senso unico con il cibo.
Ultima piccola (…piccola?) considerazione, che avrò modo di ampliare in futuro. Quante volte vi capita di mangiare con foga qualcosa di particolarmente buono non tanto perché trovate gratificazione ad ogni singolo morso, quanto piuttosto perché vivete quell’occasione come l’unica per potervi lasciar andare?
Mi spiego meglio. Immaginate di vietarvi di mangiare i biscotti al cioccolato. Un pomeriggio, tuttavia, vi concedete di mangiarne uno (e già il fatto che sia una concessione e non un bisogno andrebbe rivisto…): lo mangiate, ma dentro di voi sapete di aver trasgredito una regola, un divieto. Sapete che dal giorno successivo quella regola tornerà ad essere in vigore, e quei biscotti di nuovo torneranno ad essere qualcosa di rigorosamente vietato: dato che *ora* avete trasgredito la regola e ne avete mangiato uno, non vale forse la pena di lasciarsi completamente andare a mangiarne altri?
Ecco quello che succede: il primo biscotto (e forse anche il secondo e il terzo) sono mangiati con senso di colpa, ma anche con appagamento. Poi però ce ne saranno altri (5? 10? Tutto il pacco?) divorati con foga, solo con senso di colpa, senza più sentirne nemmeno il sapore – figurarsi sentirsi gratificati.
E se… e se invece vi permetteste di mangiare ogni giorno quei biscotti, senza vincoli? Sarebbe molto più difficile arrivare a divorarli senza realmente assaporarli: *oggi* non sarebbe l’unica occasione nella quale concederveli. Li avreste sempre a disposizione: perderebbero il loro manto di ‘alimento proibito’, rimarrebbero invece qualcosa di buono e di goloso, a cui avere libero accesso.
I divieti hanno l’effetto paradosso di avvicinarci pericolosamente al limite.
Provate a pensare alle golosità delle feste senza darvi un limite pre-imposto e arbitrariamente definito: cercate di non pensare a “dal 7 gennaio si ricomincia la dieta”, “da domani basta dolci”, “posso mangiarne solo tre bocconi”. Abolite i divieti. Focalizzatevi a sentire fin dove il vostro corpo è appagato da quello che state mangiando, senza vietarvi di poterlo ri-mangiare il giorno successivo.
Lo so: questo esercizio non è affatto facile, anzi. Ma provate, nei prossimi giorni, a lasciar sedimentare il mio suggerimento: ritornateci su con il pensiero, rigiratelo nella mente, fatelo vostro. Anche questo può essere un piccolo allenamento di preparazione a qualcosa che vi spaventa: e chissà, magari scoprite che è uno strumento in più a vostra disposizione per guidarvi verso le scelte consapevoli (non ‘sane’: *consapevoli*. È diverso. Ma ne riparliamo.)