Come avrete notato, sto aprendo un nuovo filone su questo sito: quello riguardante i rischi e le insidie dell’approccio “tradizionale” alla professione del dietista/nutrizionista, affiancando a riflessioni su quelle che possano essere le alternative a disposizione.

In questo articolo vi ho parlato dei rischi delle diete di dimagrimento imposte ai bambini, in quest’altro invece ho ripreso la tematica rapportandola all’adulto.
L’uso di diete prescrittive è -nella maggior parte dei casi- controproducente, così come gli approcci dietetici focalizzati sul peso corporeo rischiano di essere ingabbianti, riduttivi e -soprattutto- molto superficiali per una visione a tutto tondo della salute.

E se invece ci discostiamo da quello che è il percorso di dimagrimento?
Quante volte le persone si mettono a dieta non tanto per perdere peso, quanto piuttosto per migliorare parametri di salute! D’altronde, non ce lo dice solo l’esperienza, ma anche le migliaia di studi scientifici condotti in merito: le abitudini di vita sane, e soprattutto mantenere un’alimentazione su stampo mediterraneo, permette di tutelare al meglio la propria salute, riducendo il rischio di malattie. Una dieta bilanciata aiuta a prevenire disturbi cardiovascolari e sindrome metabolica; migliora i dolori articolari, lo stato di concentrazione mentale e il tono energetico; contribuisce ad un’azione anti-ageing cellulare e metabolica, permette di migliorare la performance sportiva, previene alcuni tipi di tumore (in particolare al colon e al seno) e protegge il cervello da malattie neurodegenerative.
I vantaggi sono tanti che, conoscendoli, parrebbe una follia non cercare di migliorare la propria alimentazione!

Il problema dove sta?
Sta nel semplicismo in cui si rischia di cadere.

Gli ultimi cinquant’anni della Storia della Medicina sono stati rivoluzionari perché si è progressivamente dimostrato quanto la salute possa dipendere da fattori ambientali modificabili: se prima di pensava che lo stato di malattia fosse una sorta di predestinazione o caso, in cui la componente genetica e la sfortuna avevano la prevalenza, da diversi decenni a questa parte è stato comprovato che moltissime malattie croniche degenerative affondino le proprie radici in abitudini, comportamenti ed esposizioni ambientali reiterate nel tempo.
Queste scoperte sono state di enorme portata: significa che, cambiando fin dall’infanzia alcuni fattori modificabili del proprio ambiente e della propria vita, è possibile migliorare la salute sul lungo termine.
L’altro lato della medaglia è rappresentato dall’assolutizzazione di due singoli fattori modificabili: dieta e attività fisica.
Il messaggio semplicistico, assurdo e direi anche colpevolizzante che si è trasmesso è stato: “se cambi dieta e attività fisica, starai meglio; dipende da te: puoi farlo, se non lo fai è perché non vuoi” (deduzione non esplicita: se non lo fai, allora non ti lamentare troppo della tua salute perché sai che ti basterebbe uno sforzo di volontà per stare meglio).

Ecco: tutto questo è ridicolo!
Attenzione: non è ridicolo affermare che sport e dieta incidano su salute e malattia, assolutamente! È ridicolo ricondurre *solo* a quei fattori tutta una serie di sequele!

Proviamo invece ad analizzare *tutti* (o quasi) i fattori modificabili/ambientali che determinano la salute!
Possibilità di accesso a strutture di salute pubblica, e qualità del servizio offerto: in Italia abbiamo uno dei migliori servizi di sanità pubblica al mondo, che ci permette di fare moltissimi esami e visite specialistiche a costo 0 o quasi; certo, ci sarebbe ancora tanto da migliorare, ma pensate a tutti quei paesi in cui si deve pagare per partorire in ospedale, o nei quali il costo di farmaci salvavita è interamente a carico del paziente. Più banalmente, nel contesto italiano, provate a pensare che bello sarebbe avere liste di attesa brevissime per esami specialistici che permetterebbero di velocizzare alcuni protocolli di cura: se devo aspettare 8 mesi per una risonanza dalla quale dipende il mio piano di cure, nel frattempo il mio dolore peggiorerà, e la mia qualità di vita anche. C’è forse una correlazione stretta con la dieta? Non direi…
Condizioni di stress cronico; e qui si aprirebbe un capitolo *immenso* riguardo a: stress dovuto alla società della performance lavorativo nella quale siamo immersi; stress relativo al traffico delle grandi città nelle quali diventa sempre più pericoloso guidare; stress per la gestione di figli piccoli senza una rete di sostegno familiare alle spalle, né tantomeno un welfare adeguato di supporto ai genitori; stress psicologico di diverso genere (ansia, attacchi di panico, inadeguatezza, bassa autostima, problemi relazionali o sociali…); stress relativo all’iper-esposizione a social media… So che sembra che io stia facendo la paternale: non è così. Semplicemente, vorrei invitare a riflettere: si tratta di fattori che incidono sulla nostra salute? , enormemente. Sono modificabili? , ma con un impegno che non è solo del singolo, ma anche della sua rete relazionale e del welfare a cui può fare riferimento. C’è una grossa sensibilizzazione in merito agli effetti positivi resi possibili da cambiamenti sulla condizione di stress? No, non direi. Qualcuno tiene conto che questi fattori di stress possono largamente influenzare il comportamento alimentare e l’andamento di una dieta? Di nuovo: no, direi di no…
Razza ed etnia; vi suona strano leggere che da questo possa dipendere la salute? Magari pensate che ci siano differenze genetiche tra Caucasici e Asiatici, o qualcosa di simile? No, mi riferisco a un aspetto diverso della nostra società razzista: se non sei caucasico, se non sei italiano da più di 2-3 generazioni, è altamente probabile che l’accesso alle cure, il dialogo con i medici e la qualità ed accuratezza delle informazioni che ti vengono date siano inferiori rispetto ad altri. Rimanendo in ambito alimentare, è altamente probabile che le informazioni che ti verranno trasmesse si baseranno sul modello italiano, non tenendo conto delle tue tradizioni e dagli ingredienti che ti sono familiari.
Trauma; sapete che l’esperienza di trauma può cambiare l’assetto biochimico del cervello, e aumentare il rischio di incontrare alcune problematiche fisiche, tra cui problemi digestivi, diabete, dolore cronico e patologie cardiache (vi metto in bibliografia lo studio, del 2019)? C’è qualcuno che si prenda concretamente la briga di indagare il passato traumatico di un paziente, per capire se parte del suo disagio possa essere dovuto a quel fattore, e spiegargli quindi quanto e come la presa in carico da uno psicoterapeuta possa fargli la differenza, all’interno di un sistema integrato di cure? Ehm!
Stabilità finanziaria e stato economico del nucleo familiare; penso sia abbastanza palese comprendere la correlazione tra conto in banca e stato di salute/possibilità di cure. Rimanendo, di nuovo, in ambito strettamente alimentare: dal portafoglio di una persona dipendono moltissime scelte alimentari. Il cibo spazzatura e gli alimenti a base di carboidrati raffinati sono in assoluto quelli meno costosi.
Possibilità di accesso e qualità del sistema di istruzione scolastica; anche questo potrebbe porre qualche perplessità: come può il livello di istruzione agire sulla salute di una persona? È presto detto: una persona più istruita ha maggiore capacità di discernere le informazioni di salute che, in modo diretto o indiretto, le vengono proposte; ha maggiore possibilità di discernere i professionisti a cui fare riferimento; è maggiormente preso in considerazione dallo staff medico.

Quelli che ho enunciato sono solo alcuni dei determinanti sociali della salute: ce ne sarebbero altri. Ad esempio: lo stigma del peso, il contesto sociale, o le abitudini alimentari dipendenti dal proprio nucleo comunitario o religioso. Tutto questo si somma ad altri determinanti di salute non legati al contesto sociale: la qualità dell’aria respirata, la possibilità di immergersi in un ambiente naturale non umanizzato (spiagge, boschi, etc), l’età, l’abuso di sostanze, e via dicendo.

Quasi tutti questi fattori sono modificabili: eppure, gli unici due sui quali ci si sofferma in modo ossessivo e categorico sono dieta e attività fisica.
Perché?
È abbastanza intuibile: dieta e attività fisica sono i due fattori su cui apparentemente si può agire in modo più rapido, semplice e volontario (e sono anche due poli intorno ai quali orbitano migliaia di euro ogni giorno, e che possono essere strumentalizzati politicamente in modo pressoché impercettibile). Su tutto il resto, o si può agire in modo estremamente limitato (ad esempio, se abito a Milano posso concretamente trasferirmi in Valtellina per respirare aria più pulita?), o si può agire solo con una cooperazione sociale, familiare e comunitaria che darebbe i suoi frutti dopo diversi anni.

Conoscere i determinanti della salute è assolutamente fondamentale per evitare di osannare le possibilità permesse dalla dieta, e soprattutto per calare in un dato contesto sociale tali possibilità.

La dietoterapia ha una valenza diversissima in base alle motivazioni ambientali, sociali e personali per le quali una patologia è insorta, e dovrà essere opportunamente modulata dal professionista in base al contesto sociale e istituzionale nel quale vive una persona.

Da dietista, per quanto io abbia cambiato opinioni e ideali nel corso degli anni, credo profondamente nel potenziale terapeutico dell’alimentazione: su questo, la mia prospettiva non è cambiata. Sono cambiate le modalità con cui approccio la dietoterapia, con cui suggerisco il cambio di abitudini, e con cui valuto le possibilità concrete della dieta.
All’interno di questo nuovo orizzonte, assume una priorità importante anche la capacità di ascolto del paziente, e di comunicazione rispetto a variazioni alimentari della dieta: nel precedente articolo ho parlato dei limiti della dieta prescrittiva per perdere peso; e quando invece la dieta serve per migliorare la salute, la dieta prescrittiva (ossia l’imposizione di un dato modo di mangiare) serve? Forse nel breve termine sì: la spinta motivazionale della salute è alquanto pressante, al punto che, per timore della patologia, una persona è disposta a rivoluzionare il proprio modo di mangiare. Ma sul lungo termine? La spinta motivazionale perde la sua forza, e la dieta prescrittiva segue. Per questo è indispensabile affiancare in modo *anche* diverso il paziente, altrimenti tutto il vantaggio ottenuto dall’alimentazione perde il suo mordente.

Ve ne parlo tra qualche settimana: il tempo di redigere l’articolo!

Bibliografia
– Laura Joszt – Health as more than illness: impact of social determinants and trauma – AJMC Jun 26, 2019