Continuiamo a parlare di autosvezzamento (altri post qui).
Come avevo precedentemente accennato, negli ultimi anni questa modalità di svezzamento sembra essere diventata una sorta di “moda”, almeno a giudicare dai social-media: moltissimi genitori mostrano con orgoglio i figli di 6-7-8 mesi che mangiano con gioia cibo “da adulti” (pasta con diversi condimenti, verdure di ogni tipo, polpette e crocchette fatte in casa a base di legumi, cremine vegetali nelle quali vengono intinti stick di polenta…). Sono persino stati pubblicati libri di ricette per autosvezzamento, e hanno cominciato a essere prodotte stoviglie per autosvezzamento (quelle divise in comparti, magari con il piatto a forma di elefantino o tartaruga, avete presente?).
Nulla da criticare a tutto questo, sono io la prima che all’epoca era una madre felicissima di vedere il proprio pargolo spiaccicare sul tavolo cimette di broccoli e portarsi alla bocca purea di zucca speziata alla curcuma! Sono io la prima ad aver acquistato un piattino in bamboo veramente molto instagrammabile (…sì, lo vedrete spesso sul mio profilo quando parlerò di come mangia Elena). Sono io la prima ad avere scritto non proprio un ricettario, ma un “manuale” di aiuto sulla nutrizione infantile (qui!).

Però però però.
Però tutto questo è una (esagerata) amplificazione di una situazione estremamente semplice e banale.
L’autosvezzamento è la modalità “tradizionale” di svezzamento infantile: “tradizionale” nel senso che è quello che si è sempre fatto per secoli -per millenni!-, prima che ad inizio Novecento i pediatri introducessero diversi tipi di “calendari” e “prontuari” per lo svezzamento (vale a dire… quando introdurre che cosa, e in quale quantità).
Prima che i genitori fossero istruiti a preparare la pappa perfetta, era naturale che le madri*, più o meno intorno ai 6 mesi del bimbo, ne notassero l’interesse verso il cibo e iniziassero a proporgli piccoli bocconi di alimenti morbidi, a volte premasticati da loro stesse. L’autosvezzamento è una modalità per così dire “naturale”.
Parlando di “naturale” non voglio assolutamente dipingere uno scenario idilliaco e ideale: voglio semplicemente indicare un metodo istintivo, o addirittura inevitabile. Certamente: passabile di innumerevoli errori.
In epoca moderna i genitori hanno molte conoscenze in più rispetto al passato per iniziare e condurre un’autosvezzamento più consapevole: pensiamo ad esempio ai tagli sicuri, all’infarinatura di educazione alimentare che permette di creare pasti abbastanza bilanciati, alla conoscenza delle consistenze che vanno evitate per il rischio di soffocamento (e, in generale, alla migliore qualità che è possibile offrire al bambino: nei secoli passati la denutrizione infantile era una vera e propria piaga sociale!).

L’autosvezzamento è semplice: non servono stoviglie accattivanti, manuali di ricette, bilance pesa-alimenti. Non serve creare un menù apposito per il bambino, o avere un calendario di rotazione delle materie prime.
L’autosvezzamento è poco social, in realtà. Diciamolo apertamente: è bello fotografare il bambino tutto pacioccosamente imbrattato di passata di pomodoro mentre mangia i fusilli, ma è molto meno bello dover pulire seggiolone-tavolo-pavimento tutti i giorni, due volte al giorno, anche quando si è stanchi e nervosi.
Diciamo anche apertamente che… Anche le più belle stoviglie verranno gettate a terra; anche le ricette più sfiziose potrebbero venire snobbate; e anche i bambini inizialmente più appassionati di verdure e legumi potrebbero successivamente avere una fase di quasi-totale rifiuto per questi stessi ingredienti.

Oltre ad essere meno entusiasmante di quel che i social dipingono, un altro (a mio parere gravissimo) problema dell’autosvezzamento è la grande confusione esistente relativa ai suoi vantaggi.
In altre parole: l’autosvezzamento è un metodo migliore rispetto allo svezzamento tradizionale? I bambini autosvezzati hanno vantaggi?
Beh, no: bisogna contestualizzare! Cerchiamo di vederci chiaro.

Molti studi condotti in merito all’autosvezzamento ci inducono a pensare che i vantaggi di questo metodo siano numerosi. In particolare:
– Miglior coordinazione mano-bocca e sviluppo precoce della motricità fine
– Migliore accettazione delle verdure e di un’ampia gamma di alimenti
– Migliore assetto nutrizionale
– Migliore rapporto con il cibo e migliore capacità di autoregolazione
– Precoce sviluppo del linguaggio
– Precoce capacità di stare seduto in autonomia e gattonare
Ecco. Non è tutto oro quel che luccica. In merito a questi vantaggi ci sarebbero da fare due considerazioni importanti:
1) Un bambino con uno svezzamento tradizionale ben fatto, che sia contemporaneamente stimolato da altri punti di vista, può ottenere gli stessi vantaggi permessi dall’autosvezzamento?
2) Questi vantaggi sono dovuti effettivamente alla modalità di svezzamento, oppure al fatto che -in linea generale- i genitori che scelgono l’autosvezzamento hanno abitudini alimentari più consapevoli, una routine sana a tavola, e un buon rapporto con il cibo?

Mi spiego meglio.
Prendiamo il punto n.1.
Un bambino svezzato con le pappe può *in ogni caso* ottenere gli stessi vantaggi di un bambino autosvezzato, se i genitori sono attenti ad altri aspetti della sua educazione. Ad esempio, possono proporre al bimbo attività che siano di stimolo alla motricità fine (i travarsi, lavarsi le mani, fare puzzle adatti all’età…), e possono fare attenzione a non ritardare troppo l’introduzione di alimenti solidi (la masticazione è correlata al linguaggio). Quando il bambino inizierà a mangiare cibo “da adulti”, possono essere accorti nel proporre una grande varietà di sapori, colori e ricette: il bambino non conoscerà questa varietà subito a 6 mesi, ma gli studi relativi ai gusti e alle scelte infantili dimostrano che ad essere importante è la ricchezza proposta entro i primi 3 anni di vita, non entri i primi due mesi di svezzamento!

Analizziamo ora il punto n.2.
Il bias (ossia, la distorsione d’interpretazione) è più o meno lo stesso che si ha quando si analizzano i vantaggi delle diete vegetariane. Una dieta vegetariana “media” è più vantaggiosa di una dieta onnivora “media” perché in genere a compiere questa scelta sono persone che hanno una buona base di educazione alimentare, sono appassionate di cucina e molto interessate in materia di nutrizione. Un onnivoro “medio”, invece, non presta particolare attenzione alla lista ingredienti di quello che acquista, probabilmente non consuma molti vegetali e quasi sicuramente consuma con una certa frequenza affettati, pesce in scatola, latticini industriali: per un corretto confronto bisognerebbe confrontare una dieta vegetariana ‘consapevole’ e una dieta onnivora ‘consapevole’.
Trasliamo ora il discorso sull’autosvezzamento. A scegliere questa modalità sono spesso genitori appassionati di alimentazione, con molte conoscenze in merito, capaci di alternare bene le materie prime e le ricette usate, che non cadono in schematismi e dogmi alimentari, e che hanno un buon rapporto con il cibo. Questa fluidità e serenità viene trasmessa al bambino, ma… vi svelo un segreto: la modalità di svezzamento non influenza granché il bimbo nel suo comportamento alimentare futuro! È il genitore e la sua indole che fanno la differenza: in altre parole, se anche questo genitore consapevole e informato scegliesse lo svezzamento con le pappe, comunque sarebbe in grado di influenzare positivamente il proprio bambino!
D’altronde, potrebbe essere altrimenti? Lo svezzamento dura poche settimane o qualche mese: i genitori, invece, staranno a tavola con il bambino per anni, andranno con lui a fare la spesa e al ristorante, avranno innumerevoli occasioni di parlargli di cibo, leggergli di cibo, fargli toccare e preparare il cibo! Poche settimane in confronto a mesi: cos’è che conta di più?

L’autosvezzamento mal divulgato e ostentato rischia di diventare l’ennesimo pretesto per alimentare il mito della performance genitoriale: non ne abbiamo bisogno, vero?

Credo che la modalità di autosvezzamento vada scelta in base a una motivazione diversa rispetto all’illusorio “voler dare il meglio” al proprio bambino; l’autosvezzamento è comodo per i genitori, ma…!
Ma sporca.
Ma richiede comunque attenzione a quello che si mette davanti al bimbo: non vanno bene tutte le consistenze e tutte le forme, non fin da subito!
Ma presuppone una buona educazione alimentare della famiglia (non si svezza a pizza e lasagne…).
Ma implica che i genitori conoscano l’importanza di mantenere la capacità di autoregolazione del bambino, e abbiano un’infarinatura di quello che *non* è possibile fare nei primi mesi/anni di vita.
Ma non sarebbe una modalità idonea se uno dei genitori ha un comportamento alimentare disfunzionale non adeguatamente supportato a livello psicologico.
Ma non è consigliato se uno dei due genitori è molto in ansia riguardo l’alimentazione del bambino e si sente più sicuro ad avere schemi precisi di approccio al cibo.

*Per il politically correct: mi riferisco alle madri perché fino a venti-trenta anni fa l’accudimento dei figli era -ahimè- tutto a carico delle madri, non perché sia una sostenitrice della madre come figura genitoriale esclusiva!

Bibliografia
– E Adessi et Al – Baby-led weaning in Italy and potential implications for infant development – Appetite 2021 Sep 1;164:105286
– B J Morison – Impact of a modified version of baby-led weaning on dietary variety and food preferences in infants – Nutrients 2018 Aug 15;10(8):1092
– L W Erickson – Impact of a modified version of baby-led weaning on infant food and nutrient intakes: the BLISS randomized controlled trial – Nutrients 2018 Jun 7;10(6):740
– E Dogan, G Yilmaz, M Turgut et Al – Baby-led complementary feeding: randomized controlled study – Pediatr Int 2018 Dec;60(12):1073-1080