Parliamo di alimentazione infantile, e delle corrette modalità di rapportarsi ai più piccoli.
Conoscete il principio di divisione delle responsabilità teorizzato da Ellyn Satter?

La dr.ssa Satter ci dice che “il compito dei genitori è quello di decidere cosa proporre come pasto, quando proporlo e dove proporlo; il bambino invece decide se mangiare e quanto mangiare”. Un principio semplice, chiaro e illuminante.

Il compito dei genitori
Facciamo un piccolo passo indietro.
Come genitori, non possiamo controllare l’appetito di nostro figlio. Non possiamo giudicare se mangia “tanto” o “poco”: il suo appetito non dipende da noi, è qualcosa che viene dal suo interno.
Noi possiamo solo fare in modo che il bambino risponda in modo coerente alle sue sensazioni interne:
– Dobbiamo offrirgli una gamma di alimenti il più possibile varia e sana
– Non dobbiamo imporgli di mangiare quando non ha appetito
– Non dobbiamo farlo sentire sbagliato (“mangi troppo! Ingrassi!”) quando mostra di avere più fame rispetto a quello che noi riterremmo “giusto”
– Dobbiamo aiutarlo a capire che alcuni cibi sono più nutrienti e positivi di altri (e in questa dimensione, dobbiamo stare attenti a non demonizzare dolci, snack o quello che riteniamo “insalubre”: sarebbe invece opportuno normalizzarli, e al contempo far passare il messaggio che, anche se sono tanto buoni, le cose nutrienti per il suo corpicino sono altre)
– Dobbiamo guidarlo in modo dolce ed empatico alle sensazioni del suo corpo e alle sue scelte (sostituire i “mangia!” con i “sei sicuro che il pancino non ha ancora un buchetto?”, i “finisci quello che hai nel piatto che poi siamo in auto e ti viene fame” con i “tra poco ci mettiamo in auto e sai che lì non si mangia; prova a telefonare al pancino per sapere se gli va un pezzetto extra di pane così lo riempie per dopo”, e via dicendo).

Il principio di divisione delle responsabilità
Quello prima descritto è un lavoro immane, che non si fonda su regole e doveri, ma su un continuo lavoro di educazione.
Possiamo però dire che tale lavoro si affianchino alcune regole *macroscopiche*: siamo noi (genitori, adulti, educatori) a decidere dove si mangia, quando si mangia e soprattutto cosa si mangia.
* DOVE: sul divano sì o no? In camera o in auto sì o no? È importante dare una coerenza sul luogo di consumo dei pasti.
* QUANDO: è importante strutturare pasti e spuntini; se il bimbo ha fame fuori pasto, deve capire che in quel momento non c’è cibo, ma tra poco ci sarà una merenda o un pasto in cui saziarsi; questo focus serve a evitare che il bimbo continui a piluccare senza mai davvero saziarsi, arrivando mezzo pieno al pasto e quindi rinforzando il circolo vizioso con l’evitamento di tanti piatti non molto appetibili, per poi avere fame dopo un’ora.
* COSA: ecco, probabilmente, il tasto dolente. Apriamo un paragrafo a sé.

La varietà di cibo proposta al bambino
Il compito di offrire ai bambini una gamma di alimenti varia, sana ed equilibrata è dei genitori: su questo, non ci piove. Il bambino può avere una certa flessibilità di scelta, ma sempre all’interno di un insieme definito dai genitori: per intenderci, meglio chiedere “preferisci il risotto con le zucchine o la pasta al pomodoro?” piuttosto che “cosa vuoi per cena?”, e questo a prescindere dall’età (piccola annotazione a margine: fino a che il bambino è molto piccolo è meglio porre non più di due opzioni tra cui scegliere; tertium non datur: ai bambini piccoli l’eccessiva scelta confonde).
All’interno della tematica *COSA* proporre al bambino si aprirebbe l’enorme parentesi della selettività alimentare, oltre che quella della normalizzazione del cibo. Però non è di questo che vorrei parlarvi oggi: rimandiamo il tema ad un secondo momento, che ne dite?

Oggi vorrei focalizzarmi sullo sviluppo delle preferenze alimentari dei bambini, ossia: che cosa fa sì che alcuni alimenti piacciano, e altri invece siano largamente rifiutati? Conoscendo i fattori che orientano le preferenze alimentari è possibile in una certa misura modularle (detta in modo brutale: cercare di fare in modo che al bimbo piaccia quello che noi vorremmo mangiasse spesso; ovviamente non sarà mai esattamente così, ma in qualche modo possiamo condizionarlo in positivo), e soprattutto è possibile prevenire una lunga fase di neofobia alimentare.

Intorno ai 3 anni quasi tutti i bambini attraversano un periodo di cosiddetta neofobia: un periodo durante il quale rifiutano molti alimenti che fino ad allora erano ben accettati, e si rifiutano di mangiare alimenti sconosciuti. Questa fase può durare poche settimane o perdurare per mesi (in certi casi, se si rinforza la selettività che il bambino va manifestando, potrebbe non scomparire mai, accompagnandolo anche in vita adulta); due sono i fattori che fanno la differenza:
– La varietà di cibo che il bambino mangiava prima del periodo di neofobia
– L’atteggiamento genitoriale nel periodo di neofobia (ne parleremo in seguito)

Diversi studi hanno dimostrato che, a parte la (si spera) breve parentesi di neofobia dei 3 anni), la varietà di cibo che un bambino conosce quando ha 2-3 anni è anche quella che si porterà avanti fino agli 8-10 anni di età. Questo dato ci permette di trarre alcune conclusioni:
– Più ci impegniamo a variare l’alimentazione di nostro figlio nei primi tre anni di vita, più ci sono speranze che tale varietà venga mantenuta per tutta l’infanzia
– È molto più difficile variare la dieta di un bambino di 4-8 anni che non quella di un bambino di 1-3 anni (di nuovo: impegno costante!)
– È sempre nei primi tre anni che dobbiamo cercare di modulare le sue preferenze alimentari

Attenzione: parlare di preferenze alimentari e di comportamento alimentare è molto diverso, e tale differenza va ben tenuta a mente.

Preferenze alimentari
Le preferenze alimentari dei bambini dipendono essenzialmente da due fattori:
Fattore edonico; ossia: il puro gusto. Una cosa deve essere *buona* per piacere ai bambini, e le preferenze andranno inevitabilmente a favore di alimenti dolci o salati, con la tendenza a sfavorire alimenti amari o ricchi di proteine (a meno che adeguatamente insaporiti: ai bambini la carne e il pesce puri e nudi non piacciono, la concentrazione di aminoacidi li rende amari per le loro papille gustative).
Quando parlo di alimenti dolci o salati non mi riferisco ai dolci in senso stretto o agli snack salati, o meglio non solo. Intendo dire che ai bambini piace il gusto tendenzialmente dolce (il riso, il miglio, la zucca, le castagne, le carote, i piselli, la ricotta, lo yogurt, le patate…) e il gusto tendenzialmente sapido/saporito/salato (concentrato di pomodoro, parmigiano, insaporitori ricchi di umami come miso o tamari, brodo di carne). Questo aspetto può essere sfruttato con una declinazione del tutto educativa, ossia cercando di usare spesso alimenti dolci/sapidi per bilanciare gusti che non sono particolarmente di loro gradimento, e ampliare la loro gamma di preferenze. Un esempio pratico? Se ai bambini non piacciono ceci e lenticchie, si può pensare di preparare delle polpette con ceci e carote + hummus, oppure un ragù di lenticchie con concentrato di pomodoro.
Attivazione dei meccanismi di ricompensa-gratificazione; questo fattore è stato indagato con la tecnica della diagnostica per immagini. È stato verificato che i bambini sceglieranno più frequentemente gli alimenti che associano alla gratificazione (anche emotiva) e alla ricompensa (di nuovo, anche emotiva). D’altronde, lo sappiamo anche noi adulti: ci sono pietanze oggettivamente non deliziose, ma che tendiamo a preferire ad altre perché associate ad uno stato di benessere emotivo più ampio.
Anche in questo caso, possiamo sfruttare a nostro vantaggio il dato scientifico: perché non inserire alcuni alimenti non particolarmente amati da nostro figlio in momenti speciali, magari accostandoli comunque altri piatti molto amati? Per esempio, se il bambino non ama le zucchine, potremmo pensare di metterle in tavola il sabato sera, da piluccare mentre si aspetta la pizza da asporto. Se il bambino non apprezza la frutta, potremmo preparare un frullato (con anche la banana, che è dolcissima) da portare al parco e da offrire dopo che ha giocato con gli amichetti.

Comportamento alimentare
Il comportamento alimentare è più complesso rispetto alla preferenza alimentare. Di nuovo, è la stessa cosa anche per l’adulto: se ci troviamo ad un congresso di colleghi e nel buffet c’è il nostro cibo preferito in assoluto, che però nessuno sta scegliendo, anche noi potremmo tendere a non metterlo nel piatto. Il nostro comportamento viene influenzato da diversi fattori che fanno sì che ci muoviamo in senso opposto rispetto alla preferenza alimentare.
I fattori che influenzano il comportamento alimentare dei bambini sono:
Abitudini alimentari genitoriali
Comportamento dei genitori durante i pasti
– Presenza di disturbi dell’alimentazione in famiglia
– Commenti che il bambino riceve mentre mangia
– Commenti che il bambino riceve riguardo il suo corpo
È palese che il comportamento alimentare sia condizionato da fattori profondamente diversi rispetto al semplice gusto. Nel momento in cui il bambino si sente rinforzato positivamente su scelte sane, tenderà a preferirle maggiormente. Possiamo rinforzarlo in moltissimi modi positivi! Qualche esempio?
– “Il tuo pancino sarà super felice che tu mangi gli spinaci, prova a telefonargli, scommetto che starà ridendo di cuore!”
– “Che saggia scelta quella di addentare una buona albicocca, guarda un po’ com’è succosa!”
– Mantenendo positività durante il pasto, senza pressioni e senza ansie, senza opprimere il bambino perché “mangi tutto” o “finisca presto di mangiare”
– Lavorando sul nostro stesso rapporto con il cibo
– Evitando associazioni disfunzionali (ad esempio sano = magro, insano = grasso)
– Evitando tassativamente e inderogabilmente qualsiasi commento sul corpo dei bambini, e frenando qualsiasi persona si senta autorizzata a farne (altresì, inutile dirlo spero, dobbiamo stare attentissimi a non fare mai commenti su alcun corpo, di bambino o adulto che sia!)

Cambiamento del comportamento alimentare
La domanda che probabilmente molti genitori adesso hanno è: una volta che il bambino ha sviluppato certe preferenze e un certo comportamento alimentare, è possibile cambiarle?
Sì, assolutamente: è proprio questa malleabilità che dovrebbe confortare e non rassegnare, anche quando il bambino apparentemente non mangerebbe altro che riso, parmigiano e yogurt!
Il problema non è tanto *se* si possa cambiare, quanto piuttosto *come* si possa farlo: serve un enorme investimento di tempo, energie e pazienza da parte dei genitori. Ma è così in tutti gli ambiti educativi infantili, dico bene? Se vi va, torno sull’argomento nelle prossime settimane!

Per ora il grande take-home message è questo:
* Se avete bambini sotto i 3 anni, impegnativi il più possibile a variare la loro alimentazione (che non significa cucinare cose sempre perennemente diverse! Ma di non ridurvi a una manciata di alimenti senza mai sperimentare altro!)
* Se avete bimbi più grandicelli che trascinano una fase di selettività, iniziate ad armarvi di pazienza
* Il peggior modo di ottenere un cambiamento è con la forzatura e l’imposizione
* I bambini che mangiano bene non sono “bravi”, ma allenati; quelli che mangiando male non sono “cattivi”, ma devono essere accompagnati opportunamente dall’adulto

Bibliografia
– P De Costa, P Moller, MB Frost, A Olsen – Changing children’s eating behaviour – A review of experimental research – Appetite 2017 Jun 1;113:327-357
– S Scaglioni, V De Cosmi, V Ciappolino, F Parazzini, P Brambilla, C Agostoni – Factors influencing Children’s eating behaviours – Nutrients 2018 May 31;10(6):706
– OR Ha, SL Lim, AS Bruce – Neural mechanisms of food decision-making in children – Curr Nutr Rep 2020 Sep;9(3):236-250
– S Nicklaus – Development of food variety in children – Appetite 2009 Feb;52(1):253-5