Quando il mio primogenito aveva 6 mesi, avevo iniziato con lui l’alimentazione complementare al latte, approcciando la modalità di autosvezzamento (trovate gli articoli scritti 5 anni fa qui). All’epoca (era il 2017) si parlava poco di autosvezzamento: non perché fosse sconosciuto o perché in poche famiglie lo approcciassero, ma perché ancora non esisteva l’attuale cascata di informazioni dei social-media, e non c’era molta cassa di risonanza su questa tematica. Con l’evolversi di Facebook e Instagram, che sono diventati sempre più interattivi, si sono ampliate le informazioni utili ai genitori per conoscere e avviare in sicurezza l’autosvezzamento: io stessa sono stata invitata in diversi convegni a parlare dell’approccio in termini scientifici, arricchendo la parte teorica con la mia esperienza pratica di mamma.

Ora mi trovo a dover iniziare lo svezzamento della mia secondogenita, e sicuramente riproporrò la modalità di autosvezzamento:

Non la ritengo migliore in termini assoluti rispetto ad uno svezzamento tradizionale ben fatto, ma semplicemente è la modalità migliore per noi come nucleo familiare.

Tornerò più avanti con un altro articolo nel quale descriverò i pregi e i difetti dell’autosvezzamento, per ora vorrei concentrarmi su un unico punto, ossia i vantaggi che questa modalità può avere nel mantenere l’autoregolazione del bambino.
[Se poi voleste approfondire la tematica, ho anche scritto un intero libro dedicato!]

Che cosa è l’autoregolazione del bambino?
È una capacità innata grazie alla quale il bambino autoregola la sua assunzione di cibo, mangiando fino a coprire i propri fabbisogni.
Pensiamo ai lattanti: i neonati non sono condizionati da nulla se non dalle proprie sensazioni viscerali: piangono quando hanno fame, smettono di mangiare quando sono sazi. Dopo i 6 mesi, quando i genitori hanno cominciato ad approcciare lo svezzamento (in qualsiasi modalità), questa capacità viene mantenuta e raffinata: man mano che crescono (poniamo ad esempio un bambino di 12 mesi, che abbia già avuto una variegata esperienza di cibo) di fronte a una certa gamma di alimenti, i bambini sono in grado di scegliere di volta in volta quelli che contengono macronutrienti per loro necessari in quel momento (o in quella fase della loro crescita). Per questo motivo i genitori notano che ci sono periodi in cui sembrano “fissati” con i carboidrati (pasta, riso, pane, patate…) e altri in cui gradiscono di più la componente proteica (in genere in ordine di preferenza abbiamo yogurt, uova, carne e pesce).
…ed è per questo motivo che serve a poco fare “pasti super bilanciati” con tutti gli ingredienti ben pesati: a fronte di tanti sforzi da parte del genitore per realizzare il pasto perfetto, il bimbo potrebbe avanzarlo tutto o sputacchiarne la metà. Il suo comportamento alimentare è imprevedibile: dipende da quanto si è mosso nelle ore precedenti, da quanto stanco è, da quanto ha dormito… Vedere vanificati gli sforzi fatti potrebbe renderci nervosi, attivando in noi modalità disfunzionali: potremmo credere che il bambino “lo faccia apposta”, ci stia sfidando, butti tutto per terra per capriccio. Non è affatto così! Semplicemente, in quel momento non ha fame. La fame è una componente primordiale del nostro corpo: il bambino non mangia a comando, ma secondo il proprio istinto. Questa è una risorsa, non un limite!

Fino a quando si mantiene l’autoregolazione infantile?
Idealmente, fino ai 2 anni. Poi si perde in modo del tutto fisiologico.

Ma allora è giusto che il bambino scelga cosa mangiare, visto che è in grado di autoregolarsi?
No, purtroppo no: la questione è un pochino più complessa.
Diciamo che il compito del genitore durante (e dopo) lo svezzamento è quello di fare in modo che il bambino possa mantenere il più a lungo possibile la propria capacità di autoregolazione: esistono modalità che la supportano, e altre che la rompono completamente e irreversibilmente.

Sale e zucchero
Le due variabili che sono maggiormente in grado di compromettere l’autoregolazione sono il sale e lo zucchero: l’aggiunta di questi ingredienti ai pasti del bambino durante lo svezzamento rende il cibo estremamente palatabile, al punto che il bambino lo continua a mangiare e lo preferisce ad altro non per fame, ma per gratificazione. In fondo, è lo stesso anche per noi adulti: magari siamo perfettamente sazi, ma un posticino per il dolce c’è sempre… E, a parità di alimento/ricetta, gradiamo maggiormente quella che abbia un buon tratto di sapidità (pensate alla differenza tra il pane ’sciapo’ e quello normale, tra uno spezzatino che manca di sale e lo stesso spezzatino adeguatamente aggiustato di sale).
È quindi importantissimo che durante lo svezzamento del bambino vengano evitati questi due ingredienti nelle preparazioni a lui riservate:
– Il sale può essere aggiunto in cottura dopo i primi 3-4 mesi di svezzamento (sempre con moderazione; mai a crudo; e sempre evitando alimenti conservati con sale o in salamoia: affettati, pesce conservato o affumicato, legumi in scatola…).
– Lo zucchero sarebbe bene che venga evitato il più a lungo possibile (fin oltre i 2-3 anni: ma è un tema complesso, torneremo sull’argomento nei prossimi mesi!).

Se si sceglie di fare autosvezzamento è assolutamente imprescindibile ricordare che i piatti del bambino non siano salati: è per questo motivo che non si tratta semplicemente di offrire al bambino quello che i genitori mangiano; l’autosvezzamento è una modalità molto semplice di far fare esperienza al bambino, ma che richiede comunque alcune accortezze da parte dei genitori nella preparazione dei piatti (e massima attenzione a offrire tagli sicuri di cibo, che non siano a rischio di soffocamento).

Proteine
Il macronutriente che maggiormente influenza l’autoregolazione del bambino sono le proteine: per semplificare, possiamo dire che quando il bimbo copre il proprio fabbisogno proteico quotidiano, perde appetito e interessa al cibo. Considerando che un bambino di 6-12 mesi pesa *mediamente* 9-13 kg, il suo fabbisogno proteico al massimo è di circa 15-18 g. Gran parte di questo fabbisogno viene coperto dal latte (di mamma o artificiale): nei primi mesi sono sufficienti pochi cucchiaini/assaggi di cibo a ciascun pasto per colmare il gap proteico lasciato dal latte, ed è per questo che apparentemente il bambino “non mangia”. Non è vero che non mangia: semplicemente, non mangia in misura proporzionale alle aspettative dei genitori.
Man mano che le settimane e i mesi passano, le poppate diminuiscono e il bimbo cresce, sarà automatico che lo si veda approcciare il cibo in modo diverso, con più apprezzamento e con maggiori quantità che vengono deglutite e non solo sparse sul ripiano del seggiolone e per terra.

Autoregolazione e svezzamento
Premetto che anche lo svezzamento tradizionale riesce a sostenere l’autoregolazione del bambino: tuttavia, la modalità di imboccamento determina una capacità più “automatica” di deglutizione. Ossia: il bambino imboccato tenderà a mangiare un po’ di più rispetto a un bambino che si porta in autonomia il cibo alla bocca; questo da una parte è un vantaggio perché permette di avere più velocemente una sazietà completa dal cibo anziché dal latte ai pasti, ma dall’altra richiede un po’ più di attenzione dei genitori per il mantenimento dell’autoregolazione. Se il bambino continua ad essere imboccato troppo a lungo nel tempo, senza avere alcuno spazio di esperienza diretta con l’ingestione di cibo, potrebbe essere meno focalizzato sulle proprie sensazioni viscerali di sazietà, che vengono colmate un po’ più del dovuto.

Ma quindi se si sceglie lo svezzamento tradizionale, come si può fare?
Si cerca di accostare alle pappe imboccate anche l’autogestione: magari non da subito se non ci si sente pronti a vedere il bambino staccare pezzi di cibo (comprensibilmente in molti possono temere il soffocamento!), ma dopo qualche settimana di pappe si può iniziare a proporre al bimbo anche cibo solido non omogeneizzato, lasciandolo libero di portarselo alla bocca. Nel giro di qualche giorno, si sostituisce la pappa con l’autogestione totale o parziale (ossia, si inizia imboccandolo e poi lo si lascia fare).
È inoltre importante rinforzare la capacità di autoascolto: ad esempio chiedendo se il pancino è pieno, o se ci sono ancora buchetti da riempire. Sono domande a cui il bimbo riuscirà a dare una risposta pienamente compiuta e consapevole dopo i 15-18 mesi, ma nulla vieta di abituarlo fin da subito a focalizzarsi su quello che il suo corpicino gli dice.

Ricordate comunque che quello che fa concretamente la differenza nel mantenimento della capacità di autoregolazione NON è la modalità di svezzamento prescelta, quanto piuttosto:
– Aggiunta di sale alle pietanze (non prima dei 9-10 mesi, solo nelle cotture)
– Aggiunta di zucchero e dolcetti (idealmente, il più tardi possibile, dopo i 2-3 anni)
– Forzatura del bambino a mangiare attraverso stratagemmi (aggiunta di biscottino nel biberon o molto parmigiano nella pappa: sono alimenti troppo palatabili)
– Forzatura del bambino a mangiare attraverso distrazione (aeroplanino, uso di tablet o smartphone…)